Il Parco nel cuore
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Il campetto, il campetto, quanti ricordi, c'ho passato una vita lì, in quel campetto.
Cestisticamente nasco nell'anno 1977, avevo undici anni, ed assieme a Scotti e Santagostino mi presento alle selezioni della Rank Xerox, in quegli anni seconda squadra di Milano che militava in serie A1. Veniamo presi ed iniziamo ad allenarci al mitico Cappelli e Sforza della Gallaratese, un campo in parquet con un'infinita di linee colorate che ogni "suicidio" era da piangere. L'allenatore Paolo Bianchini ci insegna tutto, a palleggiare e tirare di sinistro, il terzo tempo, anche quello di sinistro, ecc ecc ... e così si va avanti, MA è quando scopro il "campetto" - vicino a casa abitando io in Via Canonica - che il basket diventa una cosa davvero seria e divertente per me. Il confronto con gente che come te vive solo di palla a spicchi, con loro parlare di Dr J o di Kareem Abdul Jabbar, e poi negli anni a seguire i Magic Johnson e di Spud Web (il più piccolo giocatore NBA a schiacciare lo stesso in quel canestro a mt. 3,05 qui come oltre oceano), le regole diverse, i 4 tempi anzichè i nostri due, i passi iniziali che non venivano mai fischiati, ecc ecc ecc ... che tempi!!! E lì, in quel mitico campetto, quando ancora lì vicino c'era quell'obrobio di palco con le quinte montante in mezzo e le salite in metallo arrugginite, erano i tempi del Pantera, delle sfide con i due play bravi messi uno per squadra, Biffi e Bussolati, uno per parte, e poi iniziarono ad arrivare quelli forti davvero, quelli che studiavano negli USA e giocavano lì (almeno così si diceva ...), lo Stranieri, il Palazzi, e poi l'Anchisi con la Mabel Bocchi, e le partite diventano roba seria, sempre tutti a torso nudo, nel caldo, sudando, menandosi come ci si mena nel basket, quel limite sottile tra fisico e astuzia, tra abilità ed arroganza sportiva, uno contro uno, blocchi, passaggi dietro la schiena, appoggia di tabella, passa, attenti due due, mezzo campo e tanta intensità, partite ai venti, ne uscivi distrutto spossato apppezzi sudatocomenonmaiiii che lotte, che partite, che divertimento ... e noi piccoli, noi del gruppo del Radio Milano International, noi dei Vita, dei Parla, dei Canzio e anche un po' di me, e del Rana, a guardare, a imparare, assieme a Decio, a Palasciano, figure mitologiche di quegli anni, come il CT che passava e ricordava che "Ti uccide con l'onda", le corse alla fontanella dopo le partite, talmente stanchi e al contempo gasati dalla partita che finivi per passare involontariamente nel campo di pallavolo e ti beccavi certe cazziate che metà bastavano. E poi erano i tempi degli Are Krisna che passavano e ti davano i dolcetti che (si diceva) faiattenzionechedentroc'èladroga!!! e poi veniva a tossici e non c'era ancora l'Aids, erano loro ad aver paura di te, non viceversa, e bastava mezza parola e se ne andavano, mogi com'erano venuti, e com'erano venuti senza sapere chi fossi tu che gli rispondevi, perchè erano venuti, ma era come se non ci fossero mai passati. E poi si cresceva, e andare nella metà del campetto dei forti, e non delle seghe, non era più solo per andare a giocare nei campi di ping pong in cemento dietro sotto gli alberi, o per vedere le partite di torneo di quelli forti, di quelli bravi, no no ... ad un certo punto eri cresciuto, e complice il fatto che ti eri comprato un pallone e che lo portavi tu, be' allora almeno in certi orari giocavi anche tu in quella metà campo con le retine colorate e perfette col nastro isolante attorno ai ganci, e poi un giorno ti fanno giocare anche senza pallone, e un giorno ancora sei il primo scelto e dove giochi tu non c'è più il play forte, perchè quello forte sei tu, e quel giorno sei al settimo cielo, sei arrivato, ce l'hai fatta. Poi un giorno un talent scout del Billy ti vede giocare ed assieme al tuo amico Marco Trombi, soprannominato "Gallo" in onore del papà dell'attuale Gallinari, Ti dice "Mi piacerebbe farVi un provino, venite al Palalido domani, alle 15:00", e tu ci vai, ovviamente, e quando arrivi ti fanno aspettare seduto nei posti in seconda fila dietro al canestro, quello di destra spalle a piazzale Stuparich, e mentre attendi quel talent scout, vedi entrare la squadra, quella vera, e davanti a te, nella prima fila, proprio davanti a te, si siede in perfetta tenuta da partita Mike D'Antoni, sono lì per fare la foto ufficiale della stagione, e tu lo potresti toccare, ma non osi, è un Dio per te, la tua icona, il più grande, la Xerox è fallita (poi Amaro 18 Isolabella) e quindi tifi e segui le partite del Billy, unica squadra di Milano rimasta in A1, e che squadra, che campioni, che fenomeni. E il provino lo fai, e va anche bene, incredibile fai 2 minuti di partita con il Billy prima squadra, e alla fine "Vi voglio vedere ancora domani, con la squadra Vostra pari", ma tu il giorno dopo non ci puoi andare, e alla fine lasci perdere, ma Gallo ci va ed entra nel Billy, che sogno ... ma la vita è fatta così, e il campetto per te rimarrà sempre il campetto, ogni volta che ci passi, ogni volta che torni a Milano, tu ora che vivi a Napoli, nella bella calda e soleggiata Napoli, ogni volta che ci ritorni, fai un giro al campetto, ma non c'è più nessuno che conosci, qualcuno volta incroci lo sguardo del Ghibella, ma lui non ti riconosce più, scopri da Facebook che Palazzi ora fa i tortellini, ha aperto un negozio di pasta fresca a Monza, e ti fai dare il pallone da un ragazzino per fare un tiro nella metà di quelli bravi, e non arrivi neanche al ferro dando la colpa al cappotto che ti lega i movimenti, ma tu sai che non è così. Il campetto, il campetto, un pezzo di vita, dai 13 ai 19 anni ci ho passato la vita, dalle 9:30 di mattina (arrivavamo io e Magliano assieme in pratica ... ) fino a pranzo e poi ritorno alle 14 e fino a che faceva buio, a volte senza nemmeno tornare a casa, e la mamma non capiva cosa ci fosse in quel posto per noi così unico e magico. E anche qualche amore al campetto, perchè lì c'era tutto, amicizia, sport, sfida, ma anche amore, tanto amore, prima di tutto però per quel pallone a spicchi, Mikasa per chi non poteva prendersi uno Spalding, sì quelli erano i tempi del glorioso campetto del Parco Sempione di Milano.

Luca Scorrano